I significati

CRISTIANESIMO

LE ICONE

Il termine icona deriva dal greco bizantino “èikòn” che significa ‘immagine, ritratto’ e dal greco classico “eikènai” traducibile in ‘apparire’. Indica una raffigurazione sacra, dipinta su tavola, prodotta nell’ambito della cultura cristiana delle origini oggi presente soprattutto nella Chiesa ortodossa. Vengono definite icone tutte le forme espressive che riconducono a quest’arte cristiana: mosaici, affreschi, icone dipinte su tavole di legno, su fogli di pergamena, ricamate su tessuto, sbalzate o smaltate sul metallo, incise sull’avorio e così via.

L’icona è un simbolo. Nell’antica Grecia simbolo significava ‘mettere insieme’ un oggetto spezzato irregolarmente in due parti, in modo che il possessore di una parte potesse farsi riconoscere combaciandoli. Per estensione si tratta di un elemento che con il suo immediato aspetto sensibile evoca altri aspetti astratti di difficile espressione. L’icona non è una semplice illustrazione: è una realtà trasfigurata, che mostra contemporaneamente più punti di vista  e rappresenta uno spazio divinizzato situato oltre il tempo terreno.

Le icone dei primi cristiani non sono giunte fino a noi. Abbiamo solo tradizioni e testimonianze storiche. La Tradizione della Chiesa fa risalire le prime icone al tempo di Cristo (la ritrattistica era fiorente nei territori romani). Nel giudaismo stesso, che all’inizio seguiva l’interdizione delle immagini del VecchioTestamento, c’erano correnti che le ammettevano.

A livello di storia dell’arte l’iconografia si sviluppa a partire dall’arte delle catacombe e delle domus ecclesiae, attingendo all’arte del tempo: elementi dell’arte greco-romana ellenistica e di quella egizia (ritratti del Fayum), così come soggetti tratti della tradizione figurativa pagana rivisitata in chiave cristiana. Intorno al V secolo, si fissa il prototipo del ritratto di Cristo (Mandylion di Edessa e Sindone di Torino) e di Maria (numerose sono le icone attribuite all’evangelista Luca).

Costantinopoli è per tutto il medioevo il centro artistico più importante dell’intero mondo cristiano, e da qui vengono diffuse immagini, stili e modelli per oltre mille anni sia verso oriente che verso occidente.Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente nel 1453 i popoli balcanici ed orientali, ben consapevoli rispetto agli occidentali del significato teologico dell’icona, continuarono a produrre immagini, ad elaborarne lo stile e a conservarne il patrimonio dogmatico. Tra questi Paesi spicca  la Russia in cui, tra il X e il XI secolo, sono già attive scuole greco-russe. Il successivo isolamento a causa delle invasioni mongole e della caduta di Costantinopoli rende indipendente la Russia dal mondo bizantino: nascono diverse scuole locali che si distinguono fra loro per l’originalità con cui filtrano le formule compositive bizantine.

L’Italia grazie alla sua posizione geografica e al ruolo di centralità religiosa di Roma, ha favorito lo scambio di maestranze e opere e l’iconografia cristiana è parte fondante della nostra identità: basti pensare ai mosaici di Ravenna, di Monreale, di San Marco a Venezia ma anche alla scuola duecentesca toscana e alla miriade di cicli affrescati e codici miniati.

Il principio delle icone era di veicolare la dottrina della chiesa, dare risposte, essere uno strumento di evangelizzazione. I mezzi espressivi usati sono:

  • la superficie piana
  • il rapporto fra figure e oggetti di tipo simbolico e convenzionale 
  • dettagli minimi e massima espressività. I personaggi sono raffigurati frontalmente verso i fedeli per mostrare il loro stato interiore di preghiera. 
  • estrema chiarezza e precisione espressiva
  • le figure non rappresentano stati psicologici, non mostrano sofferenza o martirio, ma l’atteggiamento da tenere verso di esse: sono una risposta.
  • l’autore resta anonimo. 

Fin dalle origini l’arte cristiana è fortemente simbolica. Nei primi secoli questo simbolismo è soprattutto iconografico cioè contenuto nel soggetto stesso (ex. per il battesimo, anche se la persona era adulta, veniva rappresentata come infante per significare l’ingresso a nuova vita): i simboli sono presi da Antico  e Nuovo Testamento ma anche dalla mitologia pagana (ex Orfeo). I miti pagani sono riempiti di nuovo significato e lo saranno anche nei secoli successivi così come la filosofia greca sarà usata per avere strumenti di pensiero e di linguaggio.

L’arte cristiana eredita le tradizioni dell’arte dell’antica Grecia e sintetizza elementi dell’arte di Egitto, Siria, Asia minore. Sono adattamenti fatti dal cristianesimo più che una influenza del paganesimo, cioè è la Chiesa che conferisce carattere sacro a costumi pagani.

La creazione artistica è santificata perché partecipa alla costruzione del Regno di Dio. La Chiesa non scarta i particolarismi nazionali, ma santifica il loro contenuto: ciò significa nella pittura assenza di uniformità e di stereotipi, per cui possiamo distinguere le icone di diverse aree geografiche dalla varietà delle loro forme e malgrado l’unità di contenuto.

Fu il 6° Concilio (in Trullo) del 691-692 che formulò per la prima volta il fondamento dogmatico dell’immagine sacra, cioè un principio normativo (canone 82). Questo canone indica di usare Cristo al posto dell’agnello ed è importante perché prima si usavano simboli per l’immagine umana di Dio e perché insiste SUL RAPPORTO FRA ICONE E INCARNAZIONE DIVINE.  Resta un solo simbolo, l’agnello.

I simboli dell’Antico Testamento vanno sostituiti con la dimostrazione del loro significato diretto. Il canone 82 indica in cosa consista il significato simbolico dell’icona: non IN CIO’ che è rappresentato ma NEL COME è rappresentato. Questo formula già il principio dogmatico dell’icona, cioè l possibilità di mostrare un riflesso della gloria di Dio. Ciò equivale alla nascita del canone iconografico ossia la corrispondenza dell’icona alla Sacra Scrittura che è realtà storica e riflette il regno di Dio. Così la Chiesa crea una nuova arte che nelle forme materiali traduce e rende accessibile la rivelazione divina e la sviluppa PARALLELAMENTE alla liturgia. 

La corrispondenza fra Parola e immagine è suggellata dal 7° concilio che ristabilisce la uguale venerazione delle icone, della Croce e del Vangelo. Ciò dimostra che la Chiesa vede nell’icona un’arte che corrisponde alla Scrittura e gli dà lo stesso significato liturgico, pedagogico e dogmatico. La chiesa crea una categoria di immagini nuove, che corrispondono al suo obiettivo di esprimere l’essenza della Chiesa. Non è arte che completa la Liturgia, ma che CORRISPONDE ALLA LITURGIA. L’icona NON è al servizio della religione ma E’ PARTE INTEGRANTE della religione, uno dei modi per conoscere Dio e comunicare con Lui. Il 7° concilio (787) sottolinea l’assoluta impossibilità di rappresentare Dio e lo bandisce dalle icone mentre Gesù è assolutamente descrivibile. Sarà solo nel 1667 al Concilio di Mosca che l’iconografia occidentale della Trinità e di Dio come vecchio si diffonderà anche in Russia.

Il valore dell’icona non sta nel fatto che sia bella di per se stessa, ma perché rappresenta la bellezza, la somiglianza con il Prototipo. Rappresenta la carne deificata, illuminata dalla Luce divina.

L’icona NON è una rappresentazione della divinità, ma un segno della partecipazione della persona rappresentata alla vita divina, una testimonianza della conoscenza vissuta della santificazione del corpo umano. Per evitare l’allontanamento dal Prototipo gli iconografi dipingono su modello delle icone antiche o su manuali, che nell’antichità erano conosciuti a memoria. Poi alla fine del XVI sec hanno organizzato questa documentazione in manuali veri e propri (che non vanno confusi con il canone iconografico). Anche nelle scene sacre o nelle ‘Feste’ esiste la stessa stabilità iconografica: ci si attiene alle Sacre Scritture, ci si attiene ai fatti essenziali, è rappresentato ciò che è indispensabile e ci sono solo i dettagli necessari. Alcune feste raggruppano avvenimenti avvenuti in luoghi e momenti diversi. 

Viene usato  un linguaggio codificato di forme, colori, linee. Il canone iconografico definisce sia CIO’ CHE E’ RAPPRESENTATO ma anche COME rappresentarlo. Ad esempio la sagoma del santo in preghiera si spiritualizza: il naso è stretto, la bocca piccola, gli occhi grandi a significare sensi affinati. L’icona non vuole allontanarsi dal mondo, è sempre rivolta al mondo (vedi le persone che sono sempre frontali o di 3/4. Il profilo rompe la comunione ed è tollerato solo nei personaggi che non hanno raggiunto la santità come Magi o pastori).

L’icona non vuole comunicare emozioni. Il suo scopo è convogliare sentimenti, intelligenza e le altre facoltà sulla via della trasfigurazione. L’icona è quindi VIA e MEZZO, è PREGHIERA. Da questo momento l’icona diventa SGUARDO. E’ Cristo, la Vergine, il Santo rappresentato che CI GUARDANO e non il contrario.

Per l’iconografo autentico la creazione è una forma di ascesi, preghiera, cioè é un percorso monastico. La sua libertà non è nell’esprimere il suo  io, ma nel liberarsi di tutte le passioni e velleità mondane e carnali. Il principio conduttore è il canone iconografico: non sono solo regole esteriori che limitano la libertà creativa, ma una norma coscientemente adottata in quanto aspetto della Tradizione. Tuttavia fare icone non è una copiatura impersonale perché seguire la Tradizione non limita le possibilità espressive sia nel disegno che nella composizione, per cui le icone non vengono copiate ma RIPRODOTTE e ogni volta sono innovative.

Il livello della qualità dell’icona è proporzionato al grado di libertà spirituale dell’artista: può essere perfetta tecnicamente ma di basso livello spirituale e rudimentale tecnicamente ma di alta qualità spirituale.

Le icone cristiane e bizantine sono piene di un profondo significato spirituale, e nonostante la rappresentazione dello stesso tema, sono diverse – come sono diverse le persone che le dipingono. L’icona, illustrando un episodio evangelico, lo rappresenta al di fuori del tempo e dello spazio in tutte le sue parti, presentando contemporaneamente tutti gli avvenimenti ad esso connessi.

I personaggi rappresentati nelle icone cristiane, sono dipinti non in modo realista, ma con un volto trasfigurato che rivela che essi appartengono al mondo celeste e si sono già rivestiti di un corpo incorruttibile. Il disegno dei corpi non tiene conto dei canoni anatomici. Esiste una sobrietà nei movimenti e nei gesti dei personaggi, che sono rappresentati in un atteggiamento fisso ieratico, movimenti quasi assenti, e una visuale generalmente frontale.

Sulle icone sono rappresentati Gesù Cristo, la Madre di Dio, gli Angeli, i Santi, le Feste Liturgiche, ma l’icona è più di una semplice raffigurazione e la sua esistenza è legata all’incarnazione del Verbo di Dio, il cui evento l’ha resa possibile. Nell’Antico Testamento, infatti, Dio aveva proibito che si tentasse di fare la Sua Immagine. Per esprimere il senso dell’infinito si poteva ricorrere solo all’arte decorativa e alle forme geometriche, come vediamo ancor oggi presso ebrei e musulmani.

La nascita dell’icona coincide quindi con la nascita terrena del Figlio di Dio: Gesù Cristo infatti non è soltanto il Verbo di Dio ma anche la sua immagine: “Cristo è l’immagine del Dio invisibile (Col. 1,15)”. La prima e fondamentale icona perciò è il volto di Cristo.

L’icona della Madre di Dio sarà possibile in quanto la Vergine porta il Figlio Divino, ed anche le icone dei Santi saranno fattibili perché, assumendo la natura umana Gesù ricrea l’immagine dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio.

L’icona trasmette l’immagine di un uomo purificato, trasfigurato, rivestito della bellezza incorruttibile del Regno di Dio. L’icona che rappresenta Gesù Cristo e i “suoi simili”, li rende misteriosamente presenti. Il luogo di questa “presenza” non è né la tavola né i colori ma la somiglianza al “Prototipo”, a colui che è rappresentato sull’icona.

 

 

SOGGETTI (in ordine alfabetico):

ARCANGELO GABRIELE

Gabriele è l’araldo di Dio (“Dio è forte”), l’annunciatore delle felici novelle. E’ l’angelo dell’Annunciazione.In linea di massima, gli angeli si presentano nelle Scritture come i servitori di Dio, i portatori della sua forza, i suoi adoratori. Essi riflettono la bellezza, la santità, l’eterna giovinezza di Dio.

Nella Deesis (composizione iconografica di ambito bizantino molto diffusa nel mondo ortodosso e in epoca altomedievale e romanica nel mondo occidentale. Spesso è presente nel registro centrale delle iconostasi delle chiese ortodosse) Cristo è al centro e ha la Vergine da un lato e Gabriele dall’altro. Il suo aspetto è quello usuale dell’angelo: androgino, con un diadema fra i capelli e in mano la bacchetta degli ostiari (cioè di coloro che avevano il compito di custodire i luoghi sacri).

 

ARCANGELO MICHELE

E’ un arcangelo nell’Ebraismo, nel Cristianesimo (tranne in quello avventista), e nell’Islam. Le menzioni più antiche del nome risalgono ad opere della letteratura giudaica del II e III secolo a.C., spesso ma non sempre di genere apocalittico, dove egli è il capo degli angeli e degli arcangeli e il responsabile della cura di Israele.

Il Cristianesimo ha conservato gran parte dei caratteri attribuiti a san Michele nella letteratura giudaica. Michele, etimologicamente vuol dire ‘chi è come Dio?’ Al sommo delle gerarchie angeliche, è considerato il principe delle milizie celesti. Colui il cui nome è una interrogazione; supera Raffaele, ossia l’affermazione che Dio guarisce, o Gabriele, araldo di Dio, di cui egli proclama la forza. Poiché la domanda è più importante della risposta. E’ Michele, che gode della prossimità di Dio, è in un certo qual modo indicibile come la divinità stessa.

Michele conduce alle tenebre luminose in cui Dio abita. Egli diviene, per la tradizione, il difensore della purezza e della santità di Dio contro tutte le potenze tenebrose o falsamente luminose (poiché Satana viene chiamato Lucifero, colui che porta la luce, la falsa luce che conduce l’intelligenza e all’orgoglio). Se dunque il Diavolo appare talvolta come un angelo di luce, Michele è l’angelo della notte mistica, quella in cui Dio dà la vera luce,

“Vi fu una battaglia in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono il drago. E il drago si oppose con i suoi angeli, ma ebbero la peggio e furono scacciati dal cielo” (Apocalisse 12, 7-8). Ha una lancia nella mano sinistra in quanto lui è l’arcistratega che custodisce il mondo, comanda le schiere celesti e si oppone al dragone. Alla fine dei giorni è destinato a squillare la tromba annunciatrice del gran giudizio finale quando il Regno dei cieli verrà riconsegnato da Gesù Cristo a Dio Padre per l’eternità.

 

BATTESIMO DI GESU’

La composizione di questa icone è quella classica con Giovanni Battista a sinistra intento a versare acqua sul capo di Gesù. A destra quattro Angeli rappresentano le nature angeliche che si piegano sottomesse in adorazione e servizio dell’Uomo-Dio. Il tondo nella parte superiore dell’icona è il cielo, dimora dell’eterno. Da qui cala il raggio dello Spirito Santo che si divide in tre raggi, immagine della compiacenza del Padre. All’interno del fiume Giordano vi sono due figure antropomorfiche: una figura maschile con in mano una brocca che distoglie il viso dal Cristo  (dalla Scrittura “Il Giordano ti vide e si volse indietro”). La seconda figura è seduta sul dorso di un animale marino e pare fuggire (rappresentazione del mare che “vide e si ritrasse”). La rappresentazione della natura è arida , interrotta solo da qualche cespuglio (“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa…”)

 

CRISTO PANTOCRATORE

È l’immagine per eccellenza, archetipo del primo uomo. Pantocratore = re dell’universo. Può essere da solo o circondato da santi.

Cristo in trono compare solo nel Giudizio Finale in cui egli è a figura intera con un aspetto monumentale e temibile.

Nelle icone del pantocratore invece,  pur avendo maestà ha un volto dolce, misericordioso. E’ per lo più rappresentato a mezzo busto, con la mano destra un po’ elevata in segno di benedizione, mentre la sinistra regge un libro, aperto o chiuso, simbolo della nuova Legge da Lui portata. La frase del libro aperto può cambiare.

La veste  color porpora esprime la Signoria di Cristo sul mondo ed è intessuta di assist, e il manto blu conferma la sua trascendenza. Il Pantocratore esprime l’Epifania del Dio trascendente che ha assunto fattezze umane. Cristo appare come Signore dell’Universo, l’Onnipotente.

 

CROCEFISSIONE

L’immagine del Cristo in croce è entrata tardi nella iconografia cristiana (V secolo). All’inizio tale rappresentazione era detta Triumphans, con Cristo ad occhi aperti spalancati, corpo ritto e non sofferente, regnante e vittorioso (iconografia bizantina). Dalla metà del XI secolo comincerà a prevalere l’iconografia del Cristo Patiens, stilizzato nella tensione dolorosa del volto, sofferente, occhi chiusi e capo inclinato. A questo tipo di rappresentazione certamente contribuirono gli Ordini Mendicanti con la loro mistica del dolore il cui apice fu raggiunto nel periodo gotico.

La Madonna e Giovanni prenderanno via via il posto centrale sotto la croce. A partire dal XIV secolo, man mano che viene dedicata maggiore attenzione alle emozioni umane la Maddalena diventa una figura immancabile del gruppo di personaggi che assistono all’evento.Il teschio ai piedi della croce si rifà alla tradizione secondo la quale Cristo fu crocifisso dove riposano le spoglie di Adamo. A volte è presente la simbologia cosmica, luna e sole, sottoforma di due tondi ma anche a significare l’umanità e divinità del Cristo.La corona di spine posta sulla testa del Cristo divenne un motivo ricorrente a partire dalla metà del XIII secolo, quando re Luigi IX riportò una reliquia da una crociata in Terrasanta.

 

ELIA E IL CORVO

E’ una icona eucaristica, dato che il pane nel becco del corvo è la prefigurazione del Pane vero dato agli uomini, cioè il Cristo. Da 1Re 17, 2-6: a Elia il Signore comandò di andare nel deserto presso il torrente Cherit. I corvi gli portavano pane al mattino e carne la sera ed egli beveva al torrente. Ciò è il segno dell’amore divino ed Elia è colui che sta alla presenza di Dio e  obbedisce alla Sua Parola.

 

NATIVITA’ DELLA MARTORANA

L’icona riproduce un mosaico presente nella volta della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò dei Greci e nota come Martorana, a Palermo. La chiesa appartiene all’eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa italo-albanese, e officia la liturgia per gli italo-albanesi residenti in città secondo il rito bizantino. L’edificio è testimonianza della cultura religiosa e artistica orientale in Italia, ulteriormente apportata dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia dal XV secolo sotto l’incalzare delle persecuzioni turco-ottomane nei Balcani. Quest’ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità è parte della Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l’accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.

 

MIROFORE

L’cona è uno studio del mosaico della Cattedrale di Monreale, Sicilia, 1174. Nella tradizione bizantina la terza domenica dopo la Pasqua è la festa delle Sante donne Mirofore (gr. Μυροφόροι, in lat. Myrophorae), portatrici della mirra, perché sono state queste donne ad essere le prime testimoni della Risurrezione del Signore.

Il termine si riferisce alle donne che testimoniano la fedeltà sul Golgota, che erano testimoni della tomba vuota ed a loro viene rivolto il primo annuncio della Risurrezione; sono loro a riferire questo annuncio agli Apostoli. I nomi di alcune di esse li conosciamo dai Vangeli: Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, Salomé, madre dei figli di Zebedeo, Giovanna e Susanna che seguirono Gesù dalla Galilea. Myron (olio profumato) è uno dei titoli dati dalla Chiesa greca al Cristo. Le Miròfore, secondo l’esegesi dei Padri della Chiesa, simboleggiano la Chiesa Sposa alla ricerca dello Sposo.

Nell’iconografia la scena dell’Apparizione dell’Angelo alle mirofore è conosciuta dal III – IV secolo. Durante il periodo prima dell’iconoclastia principalmente questa era la scena che rappresentava la Resurrezione. Dal IX secolo apparve l’iconografia che raffigurava le donne mirofore sedute presso la tomba (o in piedi) senza l’angelo. Nei secoli successivi (X e l’XI) la composizione dell’apparizione del Signore alle donne mirofore; infine sulle icone medievali spesso si rappresentava il momento quando le tre donne recate al sepolcro lo vedono vuoto e si trovano davanti l’Angelo.

 

TRASFIGURAZIONE

Un antico manuale di pittura del Monte Athos, attribuito a Dionigi da Furna, prescrive che il soggetto della Trasfigurazione era la prima icona che un iconografo doveva dipingere dopo essersi esercitato sull’arte pittorica. Infatti può essere considerata la madre di tutte le icone nel senso che ogni icona va dipinta non tanto con i colori ma con la stessa luce del Tabor.

Il motivo dominante è quindi una luce che promana solo dal Cristo: non ci sono ombre e tutto è pervaso da questa sorgente luminosa che costringe gli apostoli a schermarsi gli occhi e che coinvolge anche il monte e la vegetazione. Il vertice della montagna tocca i piedi del Cristo che diventa così il punto di incontro tra terra e cielo, tra Dio e l’uomo. Mosè è la figura di destra con il libro della Legge in braccio. Ha aspetto giovanile, i capelli corti (Dt 34,7). Elia è la figura di sinistra, con barba e capelli lunghi: rappresenta tutti i profeti. La nuova legge data da Gesù porta a compimento la legge di Mosè. In basso i tre apostoli, Pietro Giacomo e Giovanni. Pietro è a sinistra e contempla stupito la visione mentre gli altri due non sostengono la visione. Il monte è simbolo della conoscenza ineffabile di Dio, è scosceso e difficile e si può scalarlo solo con la guida del Cristo.

L’iconografia della Trasfigurazione riproduce il racconto narrato nei Vangeli sinottici, (Mt 17,1-9; Mc 9,2-9; Lc 9,28-36), che sostanzialmente concorda nell’esposizione degli avvenimenti.

 

TRINITA’

L’icona della SS.Trinità è il capolavoro dell’iconografo Andrej Rublëv (1360-1430).  E’ stata definita “l’icona delle icone” nel 1551 dal Concilio dei Cento Capitoli. Rublëv l’ha dipinta nel 1422 per la canonizzazione di Sergio di Radonez, fondatore del monastero dedicato alla SS. Trinità, dove Rublëv viveva.E’ di mirabile profondità teologica e ha una finissima ricchezza di simboli. San Sergio vide l’amore eterno emanante dalla SS.Trinità, il mistero della diversità e unità,  incarnato nell’apparizione delle tre figure a Mamre (Genesi 18).

Il cerchio è il motivo dominante della composizione e  circonda le tre figure. Il triangolo, con base sul tavolo e vertice al capo dell’angelo centrale è il tre in uno: non si vedono ma si percepisce la loro armonia. Le forme quadrangolari, simbolo della materia, sono invece ben delineate e visibili. Tutta la composizione è inscrivibile in un ottagono che ha x base i lati delle predelle e sgabelli, la casa e la montagna. Nella struttura si leggono poi tre coppe: una formata dai due angeli laterali.  Una ritagliata nella tovaglia dalle ginocchia degli angeli laterali. La terza disegnata sul pavimento tra i piedistalli degli angeli laterali.

Ci sono varie interpretazioni dei tre angeli. Per molti studiosi l’angelo di sinistra è il Padre, ha la tunica blu (divinità) ma quasi completamente coperta dal manto regale (rosa-oro. Invisibilità). L’angelo al centro è il Dio-Figlio (tunica rosso sangue) e ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola dorata, sacerdozio regale di Cristo). L’albero dietro di lui è l’albero della croce. L’angelo di destra è Dio-Spirito Santo, ha una tunica blu (fare comprendere) e un manto verde (lo Spirito dà e rinnova la vita).  Sul tavolo nella coppa una testa di agnello o vitello, offerta di Abramo o prefigurazione del Cristo morto. Il calice è quello della salvezza attraverso il sangue del Cristo. 

 

VERGINE MARIA

Ha un posto di eletta nella storia della salvezza e il suo dogma ha strette implicazioni con quello della incarnazione del Cristo. E’ l’unico essere umano che ha varcato la soglia del Regno eterno. Ci sono varie tipologie di icone:

  1. Madre di Dio del Segno

Con le braccia alzate, come il tipo della Orante, e il Cristo in petto. Il gesto delle braccia non è specificamente cristiano, esisteva già nell’Antico Testamento e nel mondo pagano: personifica la figura dell’Orante. Immagini così si ritrovano nelle catacombe e sul fondo dei vasi sacri. Nei vasi questa immagine è accompagnata dall’iscrizione ‘Maria’ o ‘Mara (sua antica forma orientale).

Senza bambino, questa immagine di Maria orante o madonna del Segno, è collocata dietro l’altare delle chiese ortodosse in quanto manifestazione iconografica della chiesa, personificata dalla Madre di Dio, che custodisce in seno il Cristo. E’ collocata  al centro dell’ordine dei profeti, così è l’icona centrale della chiesa dell’Antico Testamento (Isaia 7,14 ‘il Signore stesso  vi darà un segno. Ecco: la vergine partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele’. Da qui il nome dell’icona e dato che viene da Isaia in certe iconostasi Isaia è assente).

L’icona del Segno ha due varianti: Il Cristo può essere circondato da una mandorla oppure no. La Vergine a volte è in piedi a volte a mezzo busto, a volte ha due serafini di fuoco o altri angeli intorno, a sottolineare che lei è superiore. 

  1. 2. Madre di Dio Odigidria

Ci sono vari prototipi di questa icona, il che la colloca come molto antica. La tradizione bizantina la fa risalire a un dipinto di S. Luca. Secondo la leggenda la Madre di Dio avrebbe benedetto il suo ritratto dicendo ‘la mia benedizione riposerà per sempre su questa icone’. San Luca la mandò ad Antiochia a Teofilo e verso il 450 l’imperatrice Eudossia avrebbe fatto venire l’icona  a Costantinopoli  per donarla alla cognata. Odigidria forse significa ‘chiesa dei comandanti’ dove gli imperatori pregavano prima della battaglia o forse ‘che guida’. Già nell’800 si attribuiva a questa icona miracolosa un ruolo particolare nel destino dell’impero cristiano. Questo contribuì alla elaborazione del tipo iconografico, essenzialmente bizantino, che fu fissato nell’800, e qui ricevette il nome di Odigidria. Nei tipi siriani lei è seduta eretta e tiene il bimbo semisdraiato sul braccio sinistro. Nella concezione bizantina Gesù è ben diritto sul braccio sinistro, non è più  un neonato ma il Cristo-Emmanuele, infante e Dio fin da prima del tempo. Già colmo di saggezza, ha il vestito splendente di assist, un rotolo nella mano sinistra e con la destra benedice lo spettatore. Maria non mostra intimità con il figlio e guarda lo spettatore o di lato, sopra la testa del bimbo. Con la mano destra alzata al petto allude a un gesto di preghiera o presenta al mondo il figlio e il figlio poi benedisce. L’icona ricorda Bisanzio e il rituale rigoroso di palazzo e i suoi cerimoniali dove ogni espressione dei sentimenti individuali era cancellata in modo che si percepisse solo il carattere sacro della dignità imperiale.

La Madre di Dio di Smolensk è l’icona più vicina al tipo classico della  Odigidria bizantina Quella di Tichvin è molto prossima al tipo bizantino della Odigidria Eleousa (della Tenerezza o misericordiosa): la testa è un po’ inclinata, il bimbo mostra la pianta del piede ed è di 3/4. Quella di Kazan è forse la più diffusa in Russia (la testa è ancora più inclinata di quella di Tichvin, non guarda il figlio, ha sguardo grave ma molto dolce ed esprime molta tenerezza).

  1. Madre di Dio della tenerezza

Esprimono l’aspetto umano della maternità divina e del bimbo. Lei è sofferente e sopporta in silenzio; il bimbo manifesta sentimenti umani, come paura, e tenerezza. Ogni sentimento viene come sempre nelle icone trasfigurato dal suo contatto con la Grazia e acquisisce significato più elevato.  La compassione della madre per il figlio diventa compassione per tutta l’umanità e l’icona è priva di sentimentalismo edulcorato, espressione di sentimenti individualistici.

Piuttosto raro a Bisanzio, in Russia ebbe vasta diffusione e raggiunse qui uno dei vertici di qualità.  (Vladimir – Tolga – di Korsun)

  1. Madre di Dio Nikopeia

Maria è in posizione frontale con il Bambino sulle ginocchia ed è avvolta da un manto blu.

Questa icona riprende l’antica Vergine NIkopeia (portatrice di vittoria) tuttora conservata nella Basilica di San Marco a Venezia e compatrona della città. Si tratta di una icona risalente al IX-X sec., precedentemente custodita nel monastero del Pantocratore a Costantinopoli e portata qui dopo la quarta crociata come bottino di guerra e da subito fortemente venerata.

Il prototipo è attribuito a San Luca, tanto che effigi similari si ritrovano già nel V e VI secolo.

 

 

TEMPLARI

I Templari utilizzarono il linguaggio dei simboli, che è una lingua ieratica: non si basa su di un ragionamento analitico e discorsivo ma sulla mente intuitiva e sulla sintesi. Ogni simbolo porta in sé molteplici significati perché è costruito sulla Legge di corrispondenza e analogia che lega fra di loro tutti i mondi o tutti gli stati di esistenza. Così come facevano gli antichi Egizi, i Templari disegnarono o scolpirono nelle loro chiese figure simboliche che racchiudono una idea in modo che chi è pronto possa riunire il visibile con l’invisibile. Infatti la parola ‘simbolo’ deriva dal sanscrito e significa riunisco, metto insieme. Simbolo è ciò che collega.

 

SOGGETTI:

CROCIFISSIONE – EVANGELARIO TEMPLARE

Il prezioso manoscritto “Missale Vetus ad usum Templariorum” è l’unico Evangelario Templare arrivato ai giorni nostri. Proviene dalla chiesa di Santa Maria della Mucciatella, a Puianello di Quattro Castella (RE) ed è oggi custodito presso il Duomo di Modena.

In questa composizione appare la tradizione che pone il sole e la luna ai lati della croce (Christus Cosmocrator) che simbolicamente rappresentano la duplice natura del Cristo (umana e divina) o anche l’ Antico e il Nuovo Testamento  o ancora lo sconvolgimento cosmico verificatesi durante la crocifissione, come testimoniano i vangeli. Di norma il sole è posto a destra del Cristo e la luna a sinistra. Qui sono invertiti. Fra i vari simboli che possiamo trovare in esso vi è una cosa curiosa ma sicuramente non casuale: nella miniatura in cui è riprodotto Cristo crocifisso, sulla croce non vi è la scritta INRI!

 

FIORE ( o Nodo) DELL’APOCALISSE

Presente in un largo insieme di contesti e di epoche differenti, sia come motivo decorativo sia come presenza solitaria o come simbolo nell’architettura delle chiese: il Fiore qui riprodotto è presente sulla facciata della Chiesa di S.Erasmo, a Veroli (FR). I 4 petali rappresentano i 4 elementi (Fuoco, Acqua, Terra, Aria) perfettamente armonizzato fra loro che rifioriscono per generare Armonia. Rappresentano anche il Tetramorfo, cioè i 4 esseri descritti nell’Apocalisse di Giovanni (uomo, leone, toro, aquila) e identificati con gli evangelisti. Nel simbolismo cristiano è un potente talismano contro le forze del Male.

Per disegnare il fiore dell’Apocalisse il centro dei cerchi che formano i petali è collocato ‘esterno’ alla composizione, cioè il suo centro appartiene all’inconoscibile sfera del divino.

 

FIORE A 6 PETALI

Il fiore a sei petali detto anche fiore della vita,  è un simbolo geometrico che si può ottenere intersecando solo 7 cerchi (un’unità di senso compiuto), come nella tradizione cristiana i giorni della Creazione. 

Questa figura simbolica  appare già nella tarda età del bronzo (XVI sec. a.C.) presso la civiltà micenea: era apposto su di un disco d’oro all’interno delle sepolture per propiziare il passaggio dei defunti, perché si credeva che potessero rinascere a nuova vita. Nello steso periodo lo si ritrova in Iran con lo stesso uso e anche nell’antico Egitto nel tempio di Osiride, dio dell’oltretomba. Il simbolo in seguito si diffuse i Europa e Medio Oriente e anche in area Italica (Etruschi, Dauni, Celti). Ha sempre conservato nel tempo il significato connesso alla vita, alla fertilità, al trapasso. In ambito Cristiano è divenuto metafora di Cristo e ha continuato ad essere raffigurato in contesti di culto funerario come prefigurazione della resurrezione. Nel Medioevo fu adottato dai Cavalieri Templari e raggiunse il massimo della sua popolarità.

 

FIORE A 8 PETALI

Il fiore a otto petali, invece, è noto come la “ruota di Montsaunès” o “doppio nodo templare”. Può essere interpretato come un simbolo dell’unione degli elementi e della interconnessione degli esseri. Il numero 8 è collegato all’infinito, all’armonia, alla bellezza.

 

FIORE DI GIGLIO O FLEUR DE LYS

E’ stato ritrovato su bassorilievi egizi, manufatti micenei, monete galliche, vestiti indonesiani, emblemi giapponesi, totem dei villaggi Dogon. Il giglio è stato anche il marchio identificativo della casata merovingia e lo stemma araldico di molti monarchi francesi o scozzesi; ancora oggi è il simbolo identificativo di molti stati e città. In ambito cristiano il giglio è legato al culto mariano (purezza, verginità, castità) e i tre petali richiamano la Trinità. Le teorie sul Santo Graal lo associano alla stirpe Reale di Gesù e Maria Maddalena. 

 

QUERCIA

E’ simbolo di forza, coraggio, perseveranza e dignità. Entrare in contatto con la quercia significa riconnettersi al proprio potere, alla propria forza e determinazione. Era venerata come una pianta sacra da varie culture antiche inclusa la Celtica, la Greca, la Romana, l’Ebraica: è  l’immagine del pilastro cosmico, il guardiano della Soglia. Era l’albero più importante per i i Druidi: il termine druido deriva dalle parole ‘duir’ = quercia e ‘vir’= saggezza, cioè erano i saggi della quercia. Essi ricoprivano ruoli religiosi, politici, giuridici, educativi,  e molti rituali del loro calendario erano compiuti sotto le sue fronde.

Cresce in vari habitat e spesso  in luoghi dove si incrociano vene di acqua sotterranee per cui attira facilmente i fulmini: per questo motivo fu consacrata a Zeus, re della folgore e alle altre divinità a lui assimilabili (Giove, Thor …). Nel mondo cristiano la quercia è presente sia in ambito laico, nell’araldica, come allegoria di forza, robustezza, potenza, simbolo di casate nobiliari, che nella tradizione religiosa, dove è spesso accoppiata alla Vergine, alla Chiesa, alla forza della fede.

Studi sulle correnti elettriche hanno dimostrato che possiede una vitalità superiore a quella di altri alberi che crescono nelle stesse condizioni climatiche. E’ una forza creativa unica, che incanala l’energia cosmica nella terra e la diffonde attraverso le sue radici.

La quercia ci invita a riconnetterci alle nostre radici profonde e al nostro potere interiore, consentendoci di manifestare la nostra energia creativa nel mondo materiale

 

SIGILLO TEMPLARE

Il sigillo più famoso del Gran Maestro Pierre de Montaigu mostra sul fronte due cavalieri su di un unico cavallo e sul retro il Tempio di Salomone. Il Tempio rimanda all’insegnamento segreto ebraico. I cavalieri sono due, sembrano gemelli, e sono simbolo della duplicità dell’essere umano, mortale e immortale. Nel complesso templare di Tomar in Portogallo, nella chiesa detta Carola i templari entravano a cavallo per assistere alla messa e lo stesso facevano nella cattedrale di Chartres. 

 

SPES MUNDI

Icona originale. 

Ispirata da  Apocalisse 6: 12-17 12 (Poi vidi quando l’Agnello aprì il sesto sigillo; e si fece un gran terremoto; il sole diventò nero come un sacco di crine, e la luna diventò tutta come sangue; 13 le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un forte vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. 14 Il cielo si ritirò come una pergamena che si arrotola; e ogni montagna e ogni isola furono rimosse dal loro luogo. 15 I re della terra, i grandi, i generali, i ricchi, i potenti e ogni schiavo e ogni uomo libero si nascosero nelle spelonche e tra le rocce dei monti…). E da Apocalisse 12 (tutto il passo. Nello specifico:1 Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. 2 Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3 Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4 la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra…15 Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. 16 Ma la terra venne in soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca…)

L’acqua vomitata dal serpente per aggredirla,  diventa un fiume che rivitalizza la terra. La Speranza è nella presenza del Cristo che calpesta il dragone e ripropone la preghiera CON lui (mani oranti). Alla Sua destra San Giovanni evangelista, simbolo dell’amore ricambiato verso Gesù. E’ giovane, a richiamare la  Nuova Chiesa rinnovata dall’amore per il Cristo (la basilica che sorge ai suoi piedi). La donna incinta e partoriente, è anche simbolo della rinascita personale e collettiva.

 

GLI YANTRA

Il termine yantra significa “sostegno”, “supporto”in sanscrito. Si tratta di diagrammi geometrici utilizzati nell’induismo e in particolare nel tantrismo come aiuto per la meditazione. Essi sono la visualizzazione astratta della divinità o di un suo aspetto e vengono spesso associati ad un mantra.

Risalgono al periodo vedico in India (1500-500 a.C.). e vanno da semplici forme geometriche a modelli con migliaia di parti interconnesse.

Gli yantra tradizionali si sviluppano a partire da un Bindu, o centro da cui scaturisce l’evoluzione universale. In genere sono costituiti da una forma quadrata all’interno della quale si iscrivono varie figure  geometriche come triangoli, petali di loto (rappresentano la purezza e la trascendenza), cerchi, quadrati, pentagrammi e ottagoni. Per la loro realizzazione si seguono precise regole compositive che esigono  pazienza, rigore, attenzione trasformando così il disegno stesso in un rituale.

Gli Yantra in genere raffigurano una divinità ma possono anche raffigurare il mondo, le sue manifestazioni, alcune facoltà mentali, il corpo; possono anche essere usati come strumento per riti magici, come protezione dal male, come supporto per la meditazione e la preghiera.

Le opere proposte qui non hanno queste finalità che appartengono in modo più specifico all’universo simbolico induista e tantrico. Tuttavia restano molti benefici nel loro uso e ancor più nella loro creazione.Innanzi tutto possono aiutare a concentrare la mente e a fermare i pensieri, a canalizzare l’energia dell’universo e diventare strumenti di meditazione.

Centrare il proprio sé in un solo punto creativo e integrare ed equilibrare la sua espansione in una totalità è un metodo fondamentale per arrivare al risveglio interiore. La ricerca di questo punto è il fulcro attorno al quale ruota il simbolismo dello yantra.